10. Sacra Scrittura e Tradizione

La Bibbia e le scritture dei Padri non sono, ma riguardano la Rivelazione e la Parola di Dio. Spiego meglio il concetto. La Rivelazione è l'apparizione di Dio ai profeti, agli apostoli e ai santi. La Bibbia e le scritture dei Padri trattano di queste apparizioni, ma non sono le apparizioni stesse. [...] Ovviamente né il libro che descrive la divi­nizzazione né il lettore possono sostituire il profeta, l'apostolo o il santo che vivono l'esperienza medesima.

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I Padri non hanno compreso la teologia come se fosse una scienza teoretica o speculativa, ma come una scienza positiva da tutti i punti di vista. Infatti, la comprensione patristica dell'ispi­razione biblica è simile all'ispirazione degli scritti nel campo delle scienze positive [52].

I manuali scientifici sono ispirati dalle osservazioni degli speciali­sti. Per esempio, l'astronomo registra quello che osserva attra­verso l'utilizzo degli strumenti messi a sua disposizione. Egli trae ispirazione dall'analisi dei corpi celesti, vedendo cose invisibili ad occhio nudo grazie alla sua abilità nell'uso di tali strumenti. Ciò è vero per tutte le scienze positive. Tuttavia i libri di scienza non possono mai sostituire le osservazioni scientifiche. Questi scritti non sono le osservazioni ma le considerazioni sulle osservazioni stesse. E' ugualmente vero quando vengono utilizzati degli strumenti fotografici e acustici. Gli apparecchi non sostituiscono le osser­vazioni, ma sono semplicemente a servizio di queste ultime. Così gli scienziati non possono essere sostituiti dai libri da loro scritti e nemmeno dagli strumenti progettati per l'utilizzo scientifico.

Quanto appena esposto risulta ugualmente vero per la compren­sione ortodossa della Bibbia e delle scritture dei Padri. La Bibbia e le scritture dei Padri non sono, ma riguardano la Rivelazione e la Parola di Dio. Spiego meglio il concetto. La Rivelazione è l'apparizione di Dio ai profeti, agli apostoli e ai santi. La Bibbia e le scritture dei Padri trattano di queste apparizioni, ma non sono le apparizioni stesse. Infatti, è il profeta, l'apostolo e il santo che vedono Dio, non chi semplicemente legge le loro par­ticolari esperienze. Ovviamente né il libro che descrive la divi­nizzazione né il lettore possono sostituire il profeta, l'apostolo o il santo che vivono l'esperienza medesima.

Le scritture degli scienziati sono accompagnate da una tradizione interpretativa nata per coloro che gli subentrano. Questi succes­sori conoscono quello che i loro maestri intendevano utilizzando un certo linguaggio e sanno ripetere le osservazioni descritte gra­zie al loro addestramento e alla loro esperienza. E' così pure per la Bibbia e le scritture dei Padri. Solo quelli che hanno la stessa esperienza di divinizzazione dei loro predecessori, profetici, apostolici e patri­stici, possono capire ciò che le scritture bibliche e patristiche gli stanno dicendo quando descrivono la divinizza­zione stessa e il livello spirituale al quale accedono. Quanti hanno raggiunto la divinizzazione conoscono come sono stati guidati fin là e sanno quindi come guidare altri. Essi sono i ga­ranti della trasmissione di questa tradizione.

Questo è il cuore della comprensione ortodossa della tradizione e della successione apostolica e questo è il discrimine che separa l'Or­todossia dalle tradizioni latine e protestanti germogliate dalla teologia franca.

I franchi, seguendo Agostino, hanno identificato la Rivelazione con la Bibbia ed hanno creduto che Cristo dà alla Chiesa lo Spi­rito Santo come una guida per una corretta comprensione della Scrittura. Ciò sarebbe come chiedere che i libri di biologia siano rivelati dai microbi e dalle cellule senza il bisogno dei biologi che li hanno visti al microscopio o che questi stessi microbi e cellule ispirino i futuri insegnanti a capire correttamente tali libri senza l'utilizzo del microscopio.

I franchi hanno creduto che i profeti e gli apostoli non vedessero Dio, eccettuati probabilmente Mosè e san Paolo. Secondo quanto essi credevano, i profeti e gli apostoli videro e sentirono simboli fantasmatici di Dio il cui scopo era formulare dei concetti per una disquisizione intellettuale. Mentre questi simboli sono stati esclusi dall'impatto con l'esistenza umana, la natura umana di Cristo rimase la per­manente realtà nonché il miglior veicolo per formulare concetti teologici.

Così non si ha bisogno di telescopi, microscopi o della visione di Dio ma, piuttosto, di concetti attorno a realtà invisibili. Secondo quanto venne addotto, tali concetti sono naturalmente compresi dalla ragione umana.

Gli storici hanno prestato attenzione all'ingenuità della mente reli­giosa franca disgustata dalle prime richieste per il primato dell'os­servazione sopra l'analisi razionale. I telescopi di Galileo non po­tevano scuotere tale fiducia. Comunque, diversi secoli prima di Galileo, i franchi erano rimasti disgustati dalla richiesta romano-orientale espressa da san Gregorio Palamas (1296-1359) del pri­mato teologico dell'esperienza e dell'osservazione sopra la ra­gione.

I teologi latini odierni, che usano ancora l'approccio metafisico dei loro predecessori nella teologia, continuano a presentare i teologi romano-orientali come esicasti preferendo l'ignoranza al­l'educazione per la loro ascesa all'unione con Dio. Questo equi­vale a sostenere che uno scienziato si sbaglia perché insiste sull'uso di telescopi e microscopi invece d'utilizzare la filosofia nella sua ricerca per l'analisi descrittiva dei fenomeni naturali.

Il cosiddetto movimento umanistico nella Romània orientale era un tentativo di rianimare l'antica filosofia greca, i cui dogmi erano stati già rigettati prima della nascita della scienza moderna che li sostituì in Occidente. Presentare questo cosiddetto movi­mento umanistico come un rinascimento culturale significa non considerare che il problema reale soggiaceva tra il primato della ra­gione e quello dell'osservazione e dell'esperienza.

 

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Note
[52] Per dettagli più specifici su questo soggetto si possono consultare il mio studio: Critical examination of the theological questions, in "Procès-Verbaux du deuxiè­me Congrès de Thèologie Orthodoxe", Athens 1978, pp. 413-41 e i vari la­vori in esso citati.

 

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