Santa Sofia e le sue figlie Pistis, Elpis ed Agape

Madre Sophia, donna onesta e pia, prematuramente vedova, e le tre figlie partirono per Roma. Campo del suo lavoro fu il servizio agli eroici confessori della fede cristiana, con l'assidua visita alle prigioni, dove moltissimi erano rinchiusi. Tale sua condotta non sfuggì all'occhio dell'imperatore Adriano, il quale volle davanti al suo tribunale madre e figlie. Non le prese il timore, ma impavide, la madre prima e le tre figlie dopo, professarono la fede nel Cristo Salvatore, disposte a sopportare qualunque supplizio, non rinnegarono la fede ricevuta nel Battesimo.

sofia martireI Sinassari bizantini [...] e i Menei commemorano al 17 [...] [30 settembre con il Calendario giuliano] settembre le due sante donne Sofia e Irene senza alcuna precisazione su di esse, sull'epoca e il luogo in cui vissero.

Essendo la loro memoria direttamente collegata alla precedente, che commemora i "martiri" Eraclide e Mirone vescovi di Tamasos di Cipro, si può legittimamente concludere che, nello spirito dei sinassaristi, Sofia e Irene erano considerate anch'esse come martiri. Cosa, peraltro, che risulta dall'annuncio e dal distico con cui le annunciano i Menei. Nel distico, poi, si fa allusione alla loro decapitazione.

Non è inutile sottolineare anche che, il 1° agosto e il 17 settembre, nei Sinassari bizantini sono commemorate tutte e quattro: s. Sofia e le sue figlie, Fede, Speranza e Carità1.

La più antica notizia sull'esistenza e venerazione di queste Sante martiri, risale alla fine del sec. VI. Il presbitero Giovanni, che raccolse gli olii sui sepolcri dei martiri romani al tempo di Gregorio Magno (590-604), attesta che esse erano venerate sulla via Aurelia con nomi greci, e sulla via Appia con nomi latini. Due Itinerari del sec. VII conoscono soltanto il gruppo della via Aurelia, ma uno (Notitia Ecclesiarum) riferisce i nomi greci di Sofia, Pistis ed Agape (manca Elpis), e attesta che i loro sepolcri si trovavano in una cripta, l'altro (Malmesburiense) le ricorda tutte e quattro e con nomi latini.

Secondo una favolosa passio dei sec. VII-VIII, di cui esistono redazioni in latino, in greco, in siriano, armeno e georgiano, le figlie sarebbero state uccise al tempo di Traiano, il 30 settembre, mentre la madre sarebbe morta tre giorni dopo. Al tempo di Paolo I (757-67) i corpi sarebbero stati trasferiti nella Chiesa di S. Silvestro in campo Marzio.

I loro nomi, in Occidente, furono per la prima volta inseriti in un martirologio da Usuardo che le iscrisse la 1° agosto (il Baronio invece lasciò a quella data soltanto la commemorazione delle figlie)2.

Il Cardinale Cesare Baronio (1538-1607), introdusse il culto di Sofia e Irene con la qualifica di martiri, inserendole nel suo Martyrologio romano alla data del 18 settembre, dove parla dei Greci che in questo giorno le citano nel Monologio e della basilica fatta erigere a Costantinopoli.

 

Septembris 18
Sophiae & Irenes.

De quibus Graeci etiam agũt hac die in Monologio. Iustinianus Imp. praeclaram basilicam erexit Constantinopoli in honorem S. Irenes, ut scribit Procop. Lib. I de aedit. Iustinian. Imp. Sed huiusne, an alterius de qua supra 5. Aprilis, incertum est.3

 

Anche i Bollandisti (gesuiti belgi che dal 1600 lavorarono alla compilazione degli Acta Santorum), nel commento al Martirologio Romano fanno notare che a Costantinopoli, nella chiesa di Santa Sofia, era annessa, come una delle dipendenze, la chiesa di S. Irene.

Da queste citazioni abbinate forse alla scarsa conoscenza, come è noto4, della millenaria concezione teologica, filosofica e iconografica della Sophia - Sapienza divina, specificamente tramandata nella tradizione dell'Oriente cristiano5, è potuto nascere un certo equivoco con la devozione a santa Sofia martire, con le sue tre figlie: di conseguenza, è potuto sorgere il dubbio circa la veridicità storica della loro esistenza.

Ma già il Baronio aveva fatto menzione delle loro tombe presso le catacombe, che sottostanno alla basilica fatta erigere da papa Onorio (625-638) su una precedente basilica di Simmaco (498-514): sulla tomba di S. Pancrazio, decapitato a seguito del IV Editto di Diocleziano (303-304).

Quando Papa Onorio fece riedificare a tre navate la primitiva basilica, furono compresi nel nuovo edificio anche gli ingressi alla Catacombe di S. Pancrazio, chiamati erroneamente Cimiteri di San Calepodio e San Felice.

Ecco perché la catacomba di S. Pancrazio, almeno fino alla prima metà dell'800, fu considerata facente parte del cimitero di S. Calepodio: sulla scia dell'opinione dell'archeologo Antonio Bosio (1575-1629), colui che aveva dato inizio a ricerche sistematiche sul patrimonio di Roma sotterranea (titolo della sua opera postuma del 1634).

Dalla metà dell'800 "l'archeologia delle catacombe uscì finalmente dal buio che l'aveva avvodopo la morte del Bosio. Il gesuita Giuseppe Marchi si riaccostò allo studio dei cimiteri sotterra con rinnovata attenzione per l'analisi monumentale e la contestualizzazione storica"6.

Il Marchi, che fu il maestro di Giovanni Battista De Rossi (1822-1894, considerato come è noto fondatore dell'archeologia cristiana), nella sua opera del 1844, Monumenti delle arti cristiprimitive, ci ha lasciato una descrizione dettagliata di questo luogo ed anche un disegno cubicolo con quattro tombe allineate, alla tavola XXI, intitolata: "Iconografia e ortografia d'uscala del Cimitero di San Calepodio, per la quale da un cubicolo del piano superiore si disce all'inferiore" [che qui si riportano, n.d.r]. Egli suggeriva di riconoscere in questo sito il luogo di sepoltura oggetto di culto e la sua opinione venne ripresa ai primi del XX secolo, supponendo fossero qui collocate le quattro tombe delle Sante.

In quest'epoca Edmondo Fusciardi, padre Carmelitano con il nome di Edmondo Maria della Passione, fu il primo a portare avanti studi archeologici sulla vasta rete cimiteriale di S. Pancrazio.

Nel 1922 scriveva:

«Sin dai primi anni della pace costantiniana intorno alla «Memoria Martyrum» sorse un cimitero all'aperto cielo, che negli ultimi saggi di escavazione ci ha dato un abbondante materiale epigrafico. Di fatti si hanno molti nomi di popoli della Galazia, dell'isola di Merope, di Apuco, di Atene. Ciò sta a dimostrare che gli orientali, i quali secondo Filone abitavano di preferenza in Trastevere, se cristiani, si seppellivano presso la tomba gloriosa del loro connazionale S. Pancrazio (...) La seconda regione è quella che da sotto il piazzale della chiesa rigira verso mezzogiorno (fig. 24) [qui riportata]. Le sue gallerie sono generalmente irregolari e tortuose, forse per evitare gli strati di tufo molto friabile. Al principio si trova il cubicolo di Botrus con loculi centinati e pitture della fine del terzo secolo. Proseguendo, si lasciano a sinistra due importanti gruppi di cubicoli, il primo ha nel centro il suo lucernario, mentre nel secondo v'è un cubicolo a forma di androne con l'arcosolio che lascia ancora intravedere quattro tombe: il che fa supporre essere questa la tomba di S. Sofia e delle sue tre figliuole Fede, Speranza e Carità, ma con denominazione greca riferitaci negli itinerari dei Pellegrini. Di questa tomba fa menzione il Baronio nell'annotazione al Martirologio Romano e il P. Marchi ce ne ha dato un disegno completo nella sua opera sull'Architettura cimiteriale. Qui il Bosio vide e descrisse molti cubicoli imbiancati, secondo l'uso orientale, in parte ancora visibili. In questa regione tornano in luce iscrizioni in greco e prevalentemente di popoli orientali, perciò la denominiamo degli Orientali. I nostri Padri la chiamavano di S. Felice, perché assegnavano a questo santo il piccolo cubicolo dipinto con molte figure simboliche (fig. 25)"7. Il Fusciardi affermò inoltre di riconoscere qui "il nucleo di cripte più antiche anche anteriori al terzo secolo"».

Questa sua opinione rispecchia le acute annotazioni fatte, circa un secolo prima, proprio dal gesuita Marchi, il quale illustrando la tavola XXI, con appassionata dedizione descriveva il sacro luogo, che secondo lui, molto probabilmente era una cripta aperta al culto:

«Il disegno di questa tavola nel mostrarci almeno in parte la discesa da un primo ad un secondo piano, ne mette eziandio sugli occhi il disuso in cui erano caduti i cubicoli e le cripte cessato che furono le persecuzioni. Ragionando per poco su questo disegno la mente vede e di leggeri si persuade, che il cubicolo convertito in scala nella miglior sua parte era qui stato aperto gran tempo prima di questo tramutamento. Una stanza cimiteriale di proporzioni maggiori delle stanze più comuni ingerisce il sospetto che non sia già un cubicolo appartenente ad una privata famiglia di fedeli, ma bensì una cripta aperta dalla chiesa per le comuni sue adunanze. E questo sospetto in me giunge a tale da farmi credere non improbabile che non vi si vegga qui che la prima metà della cripta e la seconda metà ci venga sottratta allo sguardo dal muro continuato B B, il quale in tempi non rimoti è stato non pure qui, ma in molte altri luoghi di queste vicinanze costrutto come sostruzione alla basilica di San Pancrazio, che edificata insieme ad un convento poco provvidamente sopra questi vuoti del Cimitero di San Calepodio minaccia continuamente di rovinare. E ancorché io m'ingannassi, e la stanza fosse un cubicolo non una cripta, sarebbe sempre vero, che chi da prima lo fece aprire, non volle rendere impraticabile, come lo è al presente, per quella gran bocca di scale non difesa da parapetti e ringhiere, ove ad ogni passo corre pericolo di corre il rischio di precipitare chiunque prenda a girargli girargli intorno. Come cubicolo non ha particolarità che richiamino l'attenzione. Con tutto ciò nella ortografia si guardino i due grandi loculi più vicini al pavimento e le profonde incassature nelle quali erano murate le grandi pietre che li chiudevano: guardasi eziandio alla divisione del sarcofago principale, dove una gran lastra di marmo formava il pareticolo dell'arcosolio: guardasi all'andamento irregolarmente curvilineo della nicchia cavata sopra il sarcofago, la quale irregolarità ne tornerà tra breve sotto gli occhi. Come scala mi giovi l'avvisare che non entra con otto gradini né direttamente al piano inferiore, perché la via di questo è altrettanto più bassa e cammina quasi sotto la via del piano superiore; talché il torcimento de' rimanenti gradini era inevitabile, se la scala doveva condurre a quel termine. Di qua anche a me più chiara apparisce la cagione per cui fu qui tagliata la scala stessa. L'abbandono in che il cubicolo era rimasto pare a me che invitasse i fossori a procacciarsi quivi una comunicazione col piano inferiore, per risparmiarsi i lunghi tragitti che dovean fare per giungervi per le altre scale. Gli studiosi che vengono dal Cimitero di San Calepodio appena è mai che non passino per questa scala e questo cubicolo, sì perché è prossimo all'ingresso del Cimitero che è nella Basilica di S. Pancrazio, sì perché di qua si trapassa per arrivare al vicino cubicolo detto di S. Felice, che ancora conserva poche reliquie di antiche pitture, che ognuno desidera di vedere. Possono quindi con gli occhi propri accertarsi, della qualunque solidità del mio dire»8.

In conclusione: allo stato attuale delle ricerche, non sembrano esserci in questo luogo elementi caratteristici dei luoghi venerati (pitture, graffiti, trasformazioni degli ambienti antichi), che consentano un preciso riferimento alle quattro Sante.

Possiamo tuttavia affermare che è fuori di dubbio, che nel VI secolo e oltre queste tombe fossero ufficialmente additate al culto dei pellegrini, come quelle delle martiri cristiane Sofia e le sue tre figlie, Fede, Speranza e Carità.

Questa tesi potrebbe essere avvalorata solo da ricerche archeologiche più approfondite, quali non sono mai state fatte in tempi recenti in questi siti.

_______________

Note
1 Cfr. Joseph-Marie Sauget, Bibliotheca Sanctorum - Enciclopedia dei santi, Città nuova ed., col. 1277.
2 Ivi, col. 1278-79, cfr. Agostino Amore: "...redazioni in latino (BHL, I, pp. 444-45, nn. 2966-73), in greco (BHG, II, p. 243, nn.1637x-1639, in siriano, armeno e georgiano (BHO, pp. 237-238, nn. 1082-85)".
3 Tratto da: Cesare BARONIO Lorano, Martirologium Romanum, Ad novam Kalendarij rationem, & Ecclesiasticae historiae veritatem restitutum. Gregorii XIII Pont. Max. Iussu editum, Venetiis, MDCXI. Apud Ieronijmum Polum, p. 520. La prima edizione del Martirologio Romano con le annotazioni del Baronio uscì nel 1586 con dedica a Sisto V. La terza, corretta e accresciuta, comparve nel 1598. Sopra un esemplare di questa edizione, il Baronio fece parecchie postille in margine, che furono riprodotte nella ristampa fatta nel 1630 da Urbano VIII, seguita poi da tutti i Tipografi.
4 Cfr. M. Chiara Celletti, Iconografia, in Enciclopedia dei santi cit, col.1279-1280.
5 Vedi il catalogo-trattato: "Sophia la Sapienza di Dio" a cura di Giuseppina Cardillo Azzaro e Pierluca Azzaro, 1999 Electa Milano, pp. 426.
6 Vincenzo Fiocchi Nicolai, Fabrizio Bisconti, Danilo Mazzoleni, La catacombe cristiane di Roma: origini, sviluppo, apparati decorativi, documentazione epigrafica, Schnell & Steiner, Regenburg 2002, p. 12.
7 E. Fusciardi, Conferenze di Archeologia cristiana dell'anno 1922, «Nuovo Bollettino di Archeologia cristiana», 1922, anno XXVIII, n° 1-4, p.13-15.
8 Giuseppe Marchi, Monumenti delle arti cristiane primitive nella metropoli del Cristianesimo, disegnati ed illustrati per cura di G. Marchi, Roma, 1844, pp.140-141.
[...]

 

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Fonte: La seguente ricerca è stata svolta per il Convegno Internazionale "Resurexit sicut dixit!" (Roma, 15-23 aprile 2007) organizzato dall'Associazione "Sofia: idea russa idea d'Europa" insieme all'ASERI (Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali) ed al Moscow State Institute of International Relations MGIMO University, Ministry of Foreign Affaire of Russia, all'interno del progetto "Ad Fontes!", inserito nel programma esecutivo per la collaborazione Italia - Russia "Istruzione e scienza", anni 2007-2009, art. 2.1.6. Tale studio si inserisce nella ricerca libera CERIS, approvata come finanziabile dal CNR, dal titolo: Ern e Rosmini: una sorprendente familiarità interiore

 

 

GALLERIA FOTOGRAFICA

Piantina del lu...
Piantina del luogo dove si presume furono sepolte S. Sofia con le figlie
Cubicolo di S. ...
Cubicolo di S. Felice
Arcosolio del C...
Arcosolio del Cubicolo di Botrys
Cubicolo di S. ...
Cubicolo di S. Sofia
Piantina tomba
Piantina tomba

 (per gentile concessione della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra)

 

Vita di Santa Sofia e delle sue figlie Fede, Speranza e Carità.

[Martirizzata durante il regno dell'imperatore Adriano (117-138). Madre Sophia, donna onesta e pia, prematuramente vedova, e le tre figlie partirono per Roma]. Campo del suo lavoro fu il servizio agli eroici confessori della fede cristiana, con l'assidua visita alle prigioni, dove moltissimi erano rinchiusi. Tale sua condotta non sfuggì all'occhio dell'imperatore Adriano, il quale volle davanti al suo tribunale madre e figlie. Non le prese il timore, ma impavide, la madre prima e le tre figlie dopo, professarono la fede nel Cristo Salvatore, disposte a sopportare qualunque supplizio, non rinnegarono la fede ricevuta nel Battesimo. Alle promesse lusinghiere come alle minacce del giudice, dettero prova di nulla temere, desiderose soltanto di ricevere il Battesimo di sangue, che è il martirio. La madre venne denudata e fustigata crudelmente, dopo che le fu impresso sulla fronte il marchio dell'infamia.

Allontanata la madre, il tiranno interrogò separatamente le tre figlie, sperando di poterle far deviare dalla religione di Cristo. Tutto egli adoprò, con le buone e le tristi maniere, ma inutilmente. Furente di rabbia, le affidò ai suoi giudici, perché venissero severamente punite, anche con la morte. Prima Fede, poi Speranza e in ultimo Carità furono sottoposte a inauditi tormenti e poi decapitate.

[...] S. Sofia, tre giorni dopo, mentre pregava sulla tomba delle figlie, rese la sua anima a Dio.

 

Tratto da: "arbitalia.it/news/santasofia/2006/godino_santa_sofia.htm"

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