8. Parte II: Teologia empirica e teologia speculativa

L'area comune dell'unità nazionale, culturale e linguistica tra i romani orientali e quelli occidentali [...], è evidente. Tale unità è sopravvissuta fino al momento in cui i papi romani furono sostituiti da quelli franchi. Che i papi romani pre-tusculani non avessero mai accettato la condanna dei romano-orientali — condanna franca per dichiarata eresia — ma, al contrario, partecipassero alla condanna dei franchi.

fineroma Nella prima parte abbiamo presentato un evidente riassunto per attestare che il feudalesimo in Europa occidentale non è provenuto da razze e costumi ro­mano-germanici, come viene comunemente ritenuto, ma piutto­sto dalla sottomissione dei romani d'Occidente ai loro conquista­tori. In seguito a ciò i franchi concentrarono la loro attenzione per riuscire a schiavizzare ecclesiasticamente e dottrinalmente la Romània papale generando, in tal maniera, la scissione tra la Romània papale e l'Oriente. Questo sforzo è costantemente fal­lito fintanto che la nazione romana è rimasta sotto il controllo della sede papale [con un papa romano].

Gli storiografi europei e americani affrontano tale separazione come fosse stata inevitabile. Essa proverrebbe dalla dichiarata separa­zione dell'Impero romano tra Oriente ed Occidente, dalle evi­denti differenze linguistiche e culturali nonché dalla differenza tra l'Occidente più attento alla legge e l'Oriente più propenso alla speculazione [48]. Tali osser­vazioni suggeriscono intensamente che questo tenta­tivo di spiegare la separazione tra i due mondi è condizionato dai pregiudizi ereditati dalla tradizione culturale franca e dalla vec­chia propaganda plurisecolare del papato franco.

L'area comune dell'unità nazionale, culturale e linguistica tra i romani orientali e quelli occidentali (che, all'epoca, rappresentava un grosso problema per la Franchìa), è evidente. Tale unità è sopravvissuta fino al momento in cui i papi romani furono sostituiti da quelli franchi. Che i papi romani pre-tusculani non avessero mai accettato la condanna dei romano-orientali — condanna franca per dichiarata eresia — ma, al contrario, partecipassero alla condanna dei franchi, pure senza nominarli, sono fatti da considerare seriamente.

I principi delle decretali nella procedura giuridica furono parte dell'amministrazione ecclesiastica del papato per almeno cen­t'anni di fronte ai franchi orientali sopraffatti. Comunque è certo che i papi romani non avrebbero mai pensato d'applicare questi principi all'amministrazione in maniera che i sinodi locali venissero sostituiti dal diretto principio monarchico papale, come accadde più tardi. I franchi resistettero al controllo giuri­dico dei papi romani. Non avrebbero mai accettato una legge imposta dal papa romano proprio come i romani orientali non accettavano la legge imposta da un papa franco.

I franchi non ebbero facile presa sopra il papato. E' molto probabile che il sinodo locale della Chiesa di Roma (sotto la presidenza papale), abbia sancito nel 769 un decreto che sarebbe sopravvissuto per venire in seguito approvato nell'ottavo sinodo ecumenico dell'879. Per tale decreto non ci sarebbero state differenze significative tra il papato e gli altri quattro patriarcati romani.

Comunque i fatti non cambiarono la loro rotta. Il papato è stato separato dall'Oriente per colpa dei franchi ed ora siamo davanti alla storia di quella separazione quando vogliamo considerare la riunificazione dei cristiani divisi. In qualche caso la struttura amministrativa della Chiesa non può essere giudicata e valutata semplicemente per se stessa o in rapporto con la consuetudine e la legge canonica antica, come solitamente viene fatto da parte Ortodossa. Non ci si può nemmeno semplicemente richiamare ad un dichiarato bisogno di adattamento della Chiesa davanti alle mutate circostanze e ai nuovi tempi, bisogno volto ad apportare migliori acquisizioni per una maggiore efficienza.

Molti protestanti odierni accettano tale approccio ma non sono d'accordo che l'adattamento possa essere elevato a dogma, com'è stato fatto dallo stesso papato. I teologi ortodossi, latini e prote­stanti sono d'accordo che il cristianesimo autentico debba essere in continuità con il suo passato apostolico e che, allo stesso tempo, si debba adattare alle situazioni e alle necessità correnti. Si capisce allora come l'azione reciproca tra teologia e società sia accettata come una normale necessità nella storia del Cristianesimo. Ciononostante i cristiani restano divisi perché ciascun gruppo vede l'adattamento dell'altro come una seria frattura della continuità e, perciò, come un segno di inautenticità.

 

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Note
[48] La parte europea e medio-orientale dell'Impero romano era caratteriz­zata da aree con diversi elementi linguistici. Tra queste esistevano due zone parallele, una celtica e l'altra greca, che attraversavano l'Impero dall'Atlan­tico al Medio Oriente. La zona celtica correva a nord rispetto alla greca, tranne in Asia Minore, dove la Galazia aveva la zona greca ad est, a nord e a sud. La stessa Italia settentrionale era parte della zona celtica, mentre l'Italia meridionale – chiamata Magna Graecia – parte di quella greca che in occi­dente copriva il sud della Spagna, la Gallia e le sue isole mediterranee. Biso­gna prestare particolare attenzione al fatto che la zona celtica e quella greca attraversavano ambedue l'Italia romana da occidente ad oriente. I romani conquistarono prima le zone greche e celtiche dell'Italia sottomettendo, in seguito, le popolazioni con parlata greca e celtica delle due parti. La zona cel­tica fu quasi completamente latinizzata, mentre la zona greca non solo rimase intatta, ma si espanse anche grazie alla politica romana che intendeva comple­tare nelle province orientali l'ellenizzazione iniziata dai macedoni. Dal tempo della loro esplosiva espansione i romani erano sentimentalmente e praticamente bilingui. Essi avevano una forte preferenza per il greco ma par­lavano pure latino. Questo spiega perché fu latinizzata la zona celtica e non la greca. Così, per la parte occidentale e per quella orientale della Romània eu­ropea, si è certamente obbligati a parlare di un Nord latino e di un Sud greco e non di un Occidente Latino e di un Oriente greco. Quest'ultimo è stato un mito franco, fabbricato per le ragioni propagandistiche descritte nella prima parte del presente libro. Esse sopravvivono nei libri scolastici fino ad oggi. I galati dell'Asia Minore nel quarto secolo parlavano proprio lo stesso dialetto come a Treviri nella provincia di Belgica della diocesi romana delle Gallie. (A. Grenier, Les galois, Paris 1970, p. 115). Che la divisione dell'Europa in Occidente-latino e Oriente-greco sia un mito franco è testimoniato ancora oggi dai 25 milioni di romani nei Balcani che parlano dialetti romanzi e dagli abitanti dei Balcani e del Medio-Oriente che si denominano romani. Si do­vrebbe prestare attenzione al fatto molto probabile che i galati dell'Asia Mi­nore parlino ancora la stessa lingua degli antenati dei valloni nell'area delle Ardenne quando, nel 995, il legato di papa Giovanni XV, l'abate Leone, pronunciava a Monson la condanna contro Gerberto d'Aurillac.

 

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